Nastri magnetici? Questione di gigabyte
Prova a chiedere ad un appassionato di computer “ipertecnologicamente avanzato” di dirti la prima cosa che gli viene in mente al sentire “nastro magnetico“. E tu? A cosa associ queste due parole? Ogni assiociazione mentale dipende dal proprio background esperenziale o, in altri termini, da quanti anni si porta sulle spalle la persona che associa. Poi viene quello culturale, certo. In questo caso ti potrebbero venire in mente associazioni del tipo: “Mangianastri“, “i vecchi scatoloni dell’IBM che occupavano intere stanze“, se fai il fonico “studio di registrazione“, se sei figlio dei Commodore “il lettore un cui infilavo il nastro dell’ultimo software di grido“, posso andare avanti per un’altra decina di righe senza sforzo.
E se ti dicessero che i nastri magnetici sono ancora e sempre la prima scelta per l’archiviazione d’ingenti quantità di dati elettronici? Se ti dicessi di dare un’occhiata a questo articolo (di quasi un anno fa) in cui Punto-Informatico annunciava che “IBM e Fuji Photo, due fra i maggiori produttori al mondo di soluzioni di archiviazione su nastro, hanno collaborato allo sviluppo di un sistema di storage capace di memorizzare, su nastri magnetici a doppia faccia, fino a 6,67 miliardi di bit per pollice quadrato : una quantità di dati circa 15 volte superiore a quella registrabile sulle cassette oggi in commercio“…
Ma dai!!! Nel 2006? VHS, Cassette, Nastri magnetici? E i rischi di smagnetizzazione? Una bufala! Per forza… o no?
Per gli scettici Punto-Informatico riportava: “Grazie alla nuova tecnologia di registrazione, una cassetta di tipo LTO (Linear Tape Open) – che ha dimensioni all’incirca dimezzate rispetto ad una comune cassetta VHS – può arrivare a contenere l’equivalente di 8 milioni di libri“.
Ma il nastro magnetico non è quello utilizzato dalle cassette audio? Non è quello utilizzato dalle mini-cassette che gli universitari utilizzano per registrare le lezioni da riascoltare e “sbobinare“? Non era quello utilizzato per far girare software esterno con i Commodore?
Beh… magari sono qualcosina di più ed hanno una storiella alle spalle che li lega indissolubilmente tanto alle Telco quanto all’Era Digitale. Eppure, chiamarli “prima scelta” per l’archiviazioni d’ingenti quantità di dati! Non è un’esagerazione?
I nastri magnetici di oggi sono i “pronipoti” di una delle tecnologie informatiche più “antiche“. Tutto, ma proprio tutto (incluso il computer di nuova generazione che utilizzi per leggere queste righe) ebbe inizio quando Alexanderl Bell scoprì nel 1876 di aver inventato il primo prototipo di telefono. La leggenda (o è storia) vuole che il professor Bell stava facendo i suoi esperimenti nel suo laboratorio quando incidentalmente si versò dell’acido addosso. Il suo assistente sentì la sua richiesta d’aiuto sull’ultima evoluzione di un audiotelegrafo la cui utilità non era ancora ben chiara a nessuno dei due… fino a quel momento. Fu l’inizio di tutto… e il “motore di spinta iniziale” che meno di un secolo più tardi portò all’uso massiccio dei nastri magnetici da parte dell’AT&T (titolare dei diritti e dell’azienda Bell). In nastri magnetici nascono per archiviare dati. E li archiviano tanto bene che Difesa e Telco non lesinano investimenti per migliorarne le prestazioni. Se però nel 1983 la AT&T non fosse stata smantellata dalla claque politica del tempo, molto ma molto preoccupata del monopolio della megacorporazione, forse oggi non saremmo a leggerci e a scriverci da video e tastiera. Dal Colosso telefonico nacquero Grandi Aziende delle Telecomunicazioni come l’AT&T Communications oppure la Bellcore, i PackBell e via dicendo… le BabyBell per intenderci… che di Baby avevano ben poco se il termine non servisse per paragonare il colosso di oggi a quello di ieri… E durante tutto questo tempo, e poi all’alba delle prime incursioni informatiche, di cracker e trasher, di hacker e phonePhreak, di BBS e Nodi di Rete, di un epoca in cui Internet iniziava ad emettere i primi incerti vagiti e dove gli esperti erano tutti dilettanti ( e lo sapevano e ne erano fieri)… durante tutto questo tempo la tecnologia dedicata ai nastri magnetici proliferava e si adattava alla promessa della nuova Età dell’Informazione a venire (quella iniziata da appena qualche anno).
Tornando alla domanda iniziale. I Nastri magnetici sono ancora una prima scelta per le TechCom perché quando nacque la Rete come oggi la conosciamo, quella era la tecnologia di storage e backup all’avanguardia per l’immagazzinamento di grosse quantità di dati.
Ok, non basta però… Con tutte le alternative di oggi… Già, ma quali? Se parliamo d’immagazzinamento di dati nell’Internet ecco che fanno capolino nomi come MySQL, Oracle e via dicendo. Ma dove immagazzinano? Su dischi rigidi è ovvio… sicuro? Ma se un nastro magnetico permette di effettuare backup inimmaginabili anche utilizzando il miglior disco rigido in commercio (ben inteso, ad uso esclusivo di una elite non della massa) non è logico pensare che il nastro diventi la prima scelta di fronte alla gestione di terabyte di dati? Il nastro c’è, è parte integrante di una tecnologia di storage viva, forte di decine di anni di “prove e miglioramenti sul campo“… è uno strumento di backup che non ne vuole sapere di “aver fatto il suo tempo“. Forse perché non ha fatto ancora il suo tempo. Prendiamo Google ad esempio.
Google? E che c’entra Google?
Prendila come una nota di colore. Se non fosse stato per i nastri magnetici gli albori della storica Usenet sarebbero andati irrimediabilmente persi. Archivi che oggi sono stati usati da Google per pubblicare 20 anni di storia dei newsgroup. Ok, ma siamo sempre ancorati al passato. Beh, certo se però si considera che la consultazione di un archivio su nastro magnetico necessita di una tecnologia in grado di leggere un nastro magnetico… e che Google non ha certo utilizzato uno scatolone di 20 anni fa per leggere, recuperare e riproporre la storia dei newsgroup… allora sorge spontanea una domanda: Google investe (ha investito) su tecnologia storage per il backup di dati su nastri magnetici? A me pare di si.
Wikipedia lascia intendere che il nastro magnetico ha fatto il suo tempo. Nel ripercorrene la storia, chiude però con questo passaggio che di “storia vecchia” ha ben poco: “La recente diminuzione del costo dei dischi fissi e le migliorie costruttive che ne hanno determinato un generale aumento di affidabilità hanno via via diminuito il ricorso al nastro magnetico. Questo tuttavia rimane in uso in molti centri di elaborazione dati, soprattutto per ragioni di gestione di archivi già precostituiti e per il costo per bit piuttosto basso“.
Taglio e riporto l’ultima frase: “Questo tuttavia rimane in uso in molti centri di elaborazione dati, soprattutto per ragioni di gestione di archivi già precostituiti e per il costo per bit piuttosto basso“. Le stesse motivazioni che hanno spinto IBM e Fuji Photo ad investire pesantemente sul nastro digitale in piena Era Digitale.
Al che mi viene una domanda: se cercassi “nastro magnetico” sul sito della IBM, quello italiano (senza scomodare l’americano), cosa troverei? Proviamo: Nastro magnetico su IBM.it.